mercoledì 30 settembre 2015

sabato 26 settembre 2015

Fotografare l'eclissi di Super-Luna di domenica prossima

 Eclissi di Luna, Canon powershot sx30IS, ISO 800 1/2s massimo zoom (150mm) F/5.78
(questo post è apparso qui su scientificast)

Nella notte tra il 27 e il 28 settembre si verificherà una eclissi di Luna proprio quando il nostro satellite si troverà al perigeo che è il suo punto di massima vicinanza alla Terra.
La luna piena al perigeo (distanza 363104 km) risulta del 13% più grande rispetto a quella dell’apogeo (d=405696 km) e, dal momento che la luminosità aumentacon il quadrato della distanza, essa dovrebbe apparire di circa il 30% più luminosa.

Confronto tra la luna al massimo ed al minimo avvicinamento nel 2013
Confronto tra la luna al massimo ed al minimo avvicinamento nel 2013

Eclissi
In un post precedente  avevamo parlato di come fotografare la cometa Lovejoy. La Luna è un soggetto molto più semplice ed è possibile catturarla anche solo con la macchina fotografica in mano e scattando in automatico. Per seguire meglio il movimento della luna, che peraltro in Italia sarà bassa sull'orizzonte, è però preferibile utilizzare un treppiedi e:
1) fissare a mano il fuoco (all’infinito)
2) l’apertura (non necessariamente al massimo, f/8)
3) l’esposizione (che varia a seconda delle lenti e soprattutto dello zoom). L'ideale è fare molte prove, tenendo conto che a luminosità della luna diminuisce molto durante l'eclissi ed è difficile prevedere a priori la posa ideale. La luna piena può essere fotografata anche ad 1/100 di secondo ma le foto dell'eclissi del 2011 mostrate qui sono state fatte ad 1/2 s ed iso 800.  È quindi preferibile provare con varie esposizioni: le macchine digitali permettono di scattare tre foto ad esposizioni diverse (normale, sovraesposta e sottoesposta) in maniera da poter scegliere a posteriori la sequenza migliore.

Dimensioni
Se fotografiamo la luna in condizioni di massimo avvicinamento e allontanamento possiamo poi confrontare le immagini e renderci conto dell’effettiva differenza. In foto è mostrato il confronto tra la luna al massimo avvicinamento nel 2013.

Calibrazione
La Luna è inoltre  un ottimo soggetto per calibrare la nostra macchina fotografica. Infatti la sua distanza dalla  Terra è nota e tabulata  qui giorno per giorno. Il suo diametro è 3475 km.
Sia che la macchina sia una reflex o una compatta le lenti dovrebbero avere uno zoom variabile (usate solo lo zoom ottico, quello digitale è completamente inutile dato che ”inventa” i pixel aggiuntivi). Se è una compatta lo zoom è indicato di solito in termini di ingrandimenti rispetto allo zoom minimo, mentre nelle reflex è indicato in termini di mm di lunghezza focale. In entrambi i casi lo zoom è comunque registrato nelle informazioni aggiuntive (exif) della foto.
Le dimensioni della luna in pixel al crescere dello zoom (lunghezza focale)
Le dimensioni della luna in pixel al crescere dello zoom (lunghezza focale)
Per ciascuno zoom possiamo quindi misurare il numero di pixel occupato dalla luna e risalire alla risoluzione spaziale ed angolare della macchina (le formule per il calcolo sono alla fine dell’articolo). Come ulteriore esercizio è possibile tracciare il grafico della risoluzione in funzione dello zoom per una data lente e verificare quanto essa è precisa. Armati di questi dati possiamo rivolgerci agli altri pianeti, come vedremo su un prossimo post.

FORMULE PIZZOSE:

Diametro Luna: D=3475 km
Distanza Luna: R (distanza media 384000 km)
Diametro Luna nella macchina fotografica: d pixel
Risoluzione Spaziale della macchina per la superficie lunare:
S= D/d km per pixel
Risoluzione Angolare della macchina (valido a zoom fissato anche per osservazioni terrestri):
A=D/(d*R)
La luna ha un diametro angolare di circa mezzo grado (31 minuti d’arco), ossia ”mezzo pollice”. Infatti, se tendiamo il braccio davanti a noi, un pollice corrisponde a circa un grado e un pugno a circa 10 gradi. Nel caso della powershot utilizzata abbiamo quindi una risoluzione di 1/100 di grado per pixel in modalità panoramica (75*56 gradi di campo di vista totale) e 5 decimillesimi di grado per pixel al massimo zoom (2.3*1.8 gradi di campo di vista totale).




mercoledì 9 settembre 2015

Niente meteorite annienta-Terra, almeno per il momento

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Il meteorite di Chicxulub, nella penisola dello Yucatan. Immagine e (c) di Shun Iwasawa

(Questo post è apparso originariamente su Scientificast, candidato per il 2015 ai Macchia nera award. Se possibile votatelo qui!)


Non ci sarà nessun meteorite che distruggerà la terra né il prossimo settembre, né ottobre o in uno qualunque dei mesi successivi.  Il rischio di fare la stessa fine dei dinosauri, estinti definitivamente 65 milioni di anni fa dal meteorite di Chicxulub, è però reale anche se non così imminente come riportato dagli allarmi che si rincorrono su Facebook, che non è proprio la più avanzata rete di rilevamento di corpi celesti.
Ogni giorno cadono sulla terra circa 5 tonnellate di meteoriti, di cui perlomeno due al minuto con un diametro inferiore ad un millimetro. Del miliardo di asteroidi di medie dimensione che orbitano intorno al Sole almeno 2 milioni di essi distruggerebbero la civiltà se colpissero il nostro pianeta. Tuttavia, solo una minima frazione è su orbite che intersecano quella della Terra (ECO- Earth crossing asteroids) e la maggior parte non pone per noi alcun pericolo.
Ciononostante, il monitoraggio del cielo è incompleto. Il primo rapporto NASA sui rischi degli asteroidi fu prodotto solo verso la fine degli anni ’90: al tempo erano noti non più di 236 oggetti ed il rapporto non fu preso sul serio da politici e non addetti ai lavori. Nel 2005 il congresso degli Stati Uniti diede mandato alla NASA di identificare almeno il 90% degli asteroidi più grandi di 140 m entro il 2020  senza però aumentare i fondi stanziati per questa ricerca. Verso il 2007 erano noti più di 4000 corpi celesti, di cui 880 con diametro superiore al chilometro. Al oggi la NASA ha identificato ben 1607 asteroidi potenzialmente pericolosi, le cui orbite passano a meno di 0.05 unità astronomiche (una unità astronomica è la distanza tra la terra ed il sole, circa 150 milioni di km) dalla terra e che sono più brillanti della 22a magnitudine (circa 200 volte meno luminosi di Caronte,il satellite di Plutone).
Una volta rivelato, l’asteroide va deflesso dalla sua rotta di collisione con la Terra. Non ci sono scenari possibili in cui il nostro pianeta viene salvato all’ultimo secondo: qualunque  missione che non preveda l’intervento di Bruce Willis deve avere inizio almeno 10 anni prima del tempo d’impatto previsto. Infatti, maggiore è l’anticipo con cui si agisce e minore è l’energia richiesta per deviare la traiettoria dell’asteroide. Con un decennio di tempo le variazioni di velocità richieste per salvare il nostro pianeta sono relativamente piccole e si aggirano intorno a qualche centimetro al secondo  per un asteroide in grado di causare un estinzione di massa. Ritardare la risposta implica dover utilizzare una spinta maggiore e molta più energia.
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Immagine Nasa
I metodi per ottenere una variazione di traiettoria sono molteplici e vanno dal grande classico dell’esplosione nucleare, all’uso di laser, alla vela solare o altri metodi di propulsione (qui una lista delle varie tecniche attualmente  in fase di studio). Ai rischi posti da queste tecnologie mai sperimentate, si aggiungono le incertezze di una missione interplanetaria in grado sia di trasportare un carico elevato che di raggiungere velocemente il corpo celeste. Inoltre, l’esperienza passata, ad esempio quella  con la sonda Hayabusa, mostra che sono necessari almeno altri 5-10 anni per allestire questo tipo di missioni. Anche se di fronte ad un rischio concreto sarebbe possibile accorciare questo tempo, c’è anche da considerare che molte delle tecnologie  sarebbero utilizzate per la prima volta  e quindi richiederebbero un tempo notevole per lo sviluppo ed i test di qualifica necessari a garantire il successo.
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Foto Esa
L’ESA e la NASA sta allestendo una missione congiunta, AIDA, per deflettere un piccolo asteroide, del diametro di 150 m, che orbita attorno ad un asteroide più grande, del diametro di 800 m, Didymos. AIDA è composta di due sonde gemelle, AIM e DART: DART (NASA) si schianterà sull’asteroide  e AIM (ESA)  misurerà le variazioni di orbita prima e dopo l’impatto (qui un ottimo video sulla missione). L’impattore, del peso di 300kg, dovrebbe schiantarsi alla velocità di sei chilometri al secondo sull’asteroide più piccolo, modificandone la velocità orbitale di “ben” mezzo millimetro al secondo. Poiché il sistema binario di Didymos non è un ECO, non c’è alcun pericolo che l’esperimento metta a rischio il nostro pianeta. Si tratta di un dimostratore estremamente interessante, e – se realizzato – rappresenta il primo passo per evitare di fare la stessa fine dei precedenti inquilini del pianeta.