mercoledì 21 dicembre 2016

Come funziona una lampadina

Figura 2: Lo spettro di vari tipi di lampadine con un doppio reticolo di diffrazione (foto mc)

Nel 1924 le case produttrici di lampadine si incontrarono in Svizzera (dove altro?) per formare il cartello Phoebus e decidere di ridurre la durata delle lampadine elettriche a circa 1000 ore (qui in articolo della IEEE se non ci credete). Prima le lampadine duravano molto di più: per esempio in California  esiste una lampadina che è accesa continuamente dal 1901.

La prima lampadina elettrica è stata quella a incandescenza. Si tratta di un filamento di tungsteno posto in un bulbo di vetro in cui è stato fatto il vuoto. Facendo passare corrente elettrica nel filamento, questo si scalda per gli urti che gli elettroni della corrente hanno con il materiale (effetto Joule). L’alta temperatura fa agitare gli elettroni, accelerandoli in tutte le direzioni e facendo loro emettere luce. Una carica elettrica accelerata emette, infatti, un’onda elettromagnetica: maggiore la temperatura e maggiore l’accelerazione e anche la frequenza dell’onda elettromagnetica emessa (legge di Wien). Ciascun corpo emette radiazione secondo la sua temperatura: gli animali a sangue caldo nell’infrarosso, le braci di carbone nel rosso se la temperatura è bassa e nel bianco se è alta (per il contributo delle frequenze verdi e blu). Dato che le accelerazioni degli elettroni possono avere vari valori, l’emissione termica di luce avviene in un ampio intervallo di frequenze.

La lampadina a incandescenza cambiò per sempre l’illuminazione delle case e delle città, ma racchiude in sé la rivoluzione che fece abbandonare la meccanica classica in favore della meccanica quantistica. Infatti per descrivere lo spettro di emissioni luminose è necessaria una formula sviluppata da Planck nel 1900 ipotizzando che l’energia della luce sia quantizzata in pacchetti di luce (vedete sotto per le formule pizzose). Anche se sembra un controsenso, questa formula si chiama equazione di corpo nero (questo passa per humour nell’ambiente), dato che suppone che un corpo a una data temperatura assorba tutta la radiazione senza riflessioni. Le emissioni di un corpo nero seguono uno spettro che dipende unicamente dalla temperatura (legge di Planck).

Il nostro Sole ha una temperatura superficiale di circa 6000 gradi Kelvin ed emette soprattutto nell’intervallo tra il rosso e il blu: il fatto che i nostri occhi siano particolarmente sensibili proprio in questo intervallo di frequenze è il risultato di milioni di anni di evoluzione. Proprio per questo la luce è percepita tanto più riposante e ‘naturale’ quanto più vicina è allo spettro solare. Se ci fate caso, sulla scatola delle lampadine è riportata la temperatura equivalente di emissione in gradi Kelvin.
Per scomporre la luce nelle sue varie frequenze e apprezzarne i colori possiamo usare un reticolo di diffrazione. Anche un prisma andrebbe bene, ma un reticolo di diffrazione è più semplice da usare (anche se il prisma devia maggiormente la luce blu ed il reticolo la luce rossa). Il reticolo è un foglio sottile su cui è stata praticata una serie finissima di righe. Le onde luminose, passando attraverso questo foglio, interferiscono tra loro e vengono traslate in punti diversi a seconda della loro frequenza (qui è possibile trovare un reticolo a diffrazione), come mostrato in Figura 1. Se poniamo quindi un reticolo di fronte alla macchina fotografica, possiamo vedere lo spettro di emissioni della lampadina a incandescenza. In realtà, lo spettro si estende anche nell’infrarosso: infatti, ne possiamo avvertire il calore. Se il reticolo a diffrazione è a croce possiamo avere un effetto caleidoscopico, come visibile in Figura 1.

Figura 2: Lo spettro di vari tipi di lampadine con un reticolo di diffrazione (foto mc)



Le lampade a fluorescenza, invece, contengono un gas rarefatto al loro interno. Con una scarica elettrica gli elettroni del gas vengono eccitati, ossia spostati su orbitali atomici più energetici. Quando si diseccitano e tornano nello stato fondamentale emettono luce. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno quantistico: a ciascuna diseccitazione corrisponde l’emissione di un fotone di energia pari alla differenza tra i livelli energetici degli elettroni atomici. Come si può vedere dalla figura 1, l’emissione è discreta, ossia avviene solo alle frequenze corrispondenti ai livelli energetici dei gas presenti nel tubo.
Questo tipo di lampade sono anche dette al neon, anche se il neon emette solamente nel rosso, mentre per avere una illuminazione bianco-bluastra è necessario utilizzare gas di mercurio. Le lampade a fluorescenza, per quanto più efficienti di quelle a incandescenza,   non sono mai durate quanto decantavano le case costruttrici.

Le lampade a LED (Light Emitting Diode), infine, sono il risultato dello sviluppo della tecnologia dei semiconduttori. Anche in questo caso la luce è emessa dalla transizione di elettroni tra diversi livelli energetici. A seconda del tipo di semiconduttore possiamo avere LED che emettono nel rosso, nel verde e,  solo negli ultimi anni,  nel blu (Nobel per la fisica nel 2014). Questo tipo di lampade è quindi realizzato utilizzando tre LED di colore differente. Nel caso dei diodi i livelli energetici sono molteplici e quindi le emissioni di luce avvengono in un intervallo energetico più ampio che in quello delle lampade a fluorescenza. La densità del materiale è migliaia di volte superiore di quello del gas, consentendo di avere sorgenti luminose molto più compatte.
Inoltre l’efficienza e la vita delle lampade a LED sono più alte di quelle a fluorescenza, rendendole quasi perfette e rendendo l’industria delle lampadine tra quelle meno redditizie.

giovedì 15 dicembre 2016

Superluminale! Sei fenomeni fisici più veloci della luce

La teoria della Relatività di Einstein ha mostrato come non sia possibile portare un oggetto dotato di massa a velocità superluminali, ossia maggiori di quelle della luce (c=300,000 km/s). A questa velocità possono, e devono, viaggiare le sole particelle prive di massa.
Nonostante questo limite invalicabile, e nonostante non vi sia al momento nessuna teoria o evidenza sperimentale che ci permetta di aggirare questo limite per spostarsi o trasmettere informazione a velocità più grandi di c, vi sono alcuni fenomeni che sono, o sembrano superluminali, ossia più veloci della luce.
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L'espansione dell’universo. La Relatività speciale sancisce che nello spazio-tempo nulla si muove più veloce della luce, ma non pone alcun limite all'espansione dello spazio-tempo, descritta dalla Relatività Generale. Infatti, nei primi istanti dopo il Big Bang, l’Universo, raffreddandosi, nella fase dell’inflazione, si è espanso molto più velocemente della luce. Le cause di questa repentina espansione non sono ancora note e sono dovute a fenomeni di fisica ancora sconosciuti. Secondo alcune teorie essa è legata alla produzione di materia oscura, ma sino a che questa particella non sarà identificata direttamente non è ancora possibile avere una risposta definitiva. L’universo a noi causalmente connesso, a noi visibile, ha dunque un ‘raggio’ di circa 46.5 miliardi di anni luce, mentre la sua età è ‘solo’ di 15 miliardi di anni. Le regioni più distanti resteranno per sempre a noi ignote e  inesplorabili. Infatti, per la legge di Hubble, la velocità di allontanamento delle galassie V  è proporzionale alla loro distanza D, per cui le galassie più distanti si stanno allontanando ad una velocità superiore a quella della luce.  Un altro fondamentale problema ancora irrisolto è se le leggi e le costanti della fisica siano diverse dalle nostre in quelle regioni. Infatti ciascuna regione dell’universo è come una delle isole delle Galapagos su scala cosmica, sconnessa dalle altre e dunque in grado di evolversi indipendentemente. Se è così, dovrebbe essere possibile trovare traccia di queste altre ‘isole’ sotto forma di difetti topologici, punti e superfici che cercano di raccordare le diverse regioni dello spazio.

La meccanica Quantistica, in particolare il collasso della funzione d’onda.  Nel momento in cui effettuo una misura, la funzione di probabilità della particella microscopica ‘collassa’ nello stato che vado a misurare. Se ho un sistema di due particelle, la misura di una particella fa collassare istantaneamente anche la funzione d’onda della seconda particella, anche se si trova all'altro capo della galassia. Questo fenomeno è stato misurato più volte in laboratorio. Non è possibile utilizzarlo per trasmettere informazione, ma potrebbe essere sfruttato in future reti di computer quantistici (qui un articolo sul teletrasporto quantistico  e qui una misura recente al riguardo).

Luce Cherenkov in un reattoer nucleare (da wiki)
Luce Cherenkov in un reattore nucleare (da wiki)



L’effetto Cherenkov. La luce (e tutte le onde elettromagnetiche) viaggia a c=300,000 km/s nel vuoto. Se si propaga in un mezzo, l’interazione con gli elettroni atomici del materiale che attraversa, la fa rallentare e muovere a velocità v=c/n, dove n è l’indice di rifrazione del mezzo. L’acqua ha n=1.33 e dunque la luce viaggia ‘solo’ a 200,000 km/s. È quindi possibile avere particelle elementari che viaggiano più veloci della luce (rendendo blu l'acqua dei reattori nucleari). Se sono cariche, come elettroni e positroni, esse creano un’onda d’urto elettromagnetica, analoga a quella degli aerei supersonica nell’aria. (qui è spiegato per esteso).   Molti rivelatori di particelle e telescopi sfruttano questo principio.



La velocità di fase delle onde elettromagnetiche. La cresta di un’onda elettromagnetica in certi materiali si può propagare a velocità superiori a quella della luce. Anche in questo caso non vi è trasmissione di segnale, come quella che avviene con le onde radio, dove quella che conta è la velocità di gruppo (ossia della modulazione) delle onde.
Schema e dimensioni degli effetti luminosi nell'alta atmosfera



Gli effetti Transienti Luminosi o TLE (Transient Luminous Effects). Questi rari fenomeni hanno nomi esotici come Sprites ed  Elves. Di questi, gli Elves sono un fenomeno globulare che si espande sino a 100 km dove forma un’onda d’urto circolare. Se considerata lungo la circonferenza, l’espansione dell’onda d’urto appare superluminale, ma è solo un effetto ottico. I vari punti della circonferenza che si espande non sono causalmente connessi tra loro, ossia non si possono influenzare a vicenda, dato che l’onda è in realtà quella che si propaga, ad una velocità inferiore a quella della luce, dal centro della sfera in basso.

Lo spostamento dei jet di galassie. Anche in questo caso si tratta di un effetto apparente simile a quello precedente. Il jet è emesso a velocità relativistica ma inferiore a quella della luce.  

BONUS: 4 cose che NON vanno più veloci della luce (anche se ci provano)
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Copertina di Mort, di Terry Pratchett
  1. 1. Superman. Dato che a quanto pare non gli bastano i superpoteri che ha, deve andare in giro a dicendo che va ‘più veloce della luce’. L’agiografia del  primo film millanta che sia riuscito anche a viaggiare indietro nel tempo. (Se invece del Daily Planet avesse lavorato in uno dei quotidiani romani sarebbe stato definito un “coatto”).
  2. I tachioni. Ipotetiche ma inosservate e inesistenti particelle che guarda caso  sono…. più veloci della luce. In questa ipotesi da fantascienza (non sono previste da nessuna delle teorie di fisica esistenti o ipotizzate), i tachioni sono costretti a muoversi più velocemente della luce e ‘dunque’ si muovono indietro nel tempo.
  3. I neutrini di Opera. Si è trattato di un errore di misura ed è stato dimostrato che si muovono meno velocemente della luce,  ma si è trattata di una misura importantissima da verificare, dato che una delle ipotesi avanzate fosse che solo i neutrini si muovessero alla velocità massima ammessa dalla Relatività speciale, mentre i fotoni fossero rallentati in qualche modo dalle interazioni con il vuoto quantistico.  (qui un post info sulle scoperte vere di Opera).
  4. La monarchia. Secondo Terry Pratchett (Mort, quarto volume di Discworld): “l’unica cosa che si può muovere più veloce della luce è la monarchia, Secondo il filosofo Ly Tin Wheedle. Il suo ragionamento si basa sul fatto che non si può evere più di un re per volta, e la tradizione richiede che non c’è soluzione di continuità tra i re. Perciò quando un re muore, la successione passa istantaneamente all’erede. Presumibilmente, disse il filosofo, ci deve essere un qualche tipo di particelle elementari, ‘Reoni’, o anche ‘Reginoni’ che veicolano questa informazione. Ovviamente la successione può interrompersi se – nel loro volo – queste particelle colpiscono le loro antiparticelle, i ‘Repubbliconi’. Il suo piano ambizioso per utilizzare questa scoperta per mandare messaggi, basata su un'accurata tortura di un re per modulare il segnale, non fu mai portata a termine perché a un certo punto il bar chiuse.
apparso originariamente su scientificast.it

giovedì 24 novembre 2016

Referendum quantistico

Diciamo basta alla Kasta del #determinismo netwoniano. E comunque dato che la scheda passa attraverso una fessura ci vuole la trattazione ondulatoria.

giovedì 3 novembre 2016

Perché il ghiaccio raffredda le bevande


La risposta che è dentro ognuno di noi è: “perché il ghiaccio è freddo!”, ma è (come insegnava Guzzanti) sbagliata.
O almeno incompleta, dato che il motivo principale è perché è solido. Se infatti in un bicchiere d’acqua a temperatura ambiente mettiamo del ghiaccio, questo si scioglie rimanendo a zero gradi centigradi. L’acqua fornisce calore – raffreddandosi – per far passare il ghiaccio dallo stato solido a quello liquido. L’energia ceduta negli urti delle molecole di acqua a quelle del ghiaccio serve a rompere la struttura cristallina in cui le molecole di H2O sono imprigionate.
Questo legame intermolecolare è molto più forte di quello di agitazione termica dell’acqua: servono infatti 79.6 calorie per sciogliere un grammo di ghiaccio, ma ne basta una per scaldare un grammo d’acqua di un grado. Nei passaggio di stato la temperatura dei corpi non cambia e quindi il 92% del raffreddamento di una bevande è dovuto al calore ceduto per fondere il ghiaccio e l’8% va nello scaldare il ghiaccio fuso da 0ºC alla temperatura di equilibrio (le formule pizzose sono sotto). Questa quantità potrebbe essere portato a zero, ad esempio chiudendo in ghiaccio in una busta di plastica e mettendo la busta in un colino da tè.
Facendo scorrere l’acqua nella tazza questa scioglie il ghiaccio ma non ha tempo per scaldare l’acqua appena fusa. La bevanda è quindi fredda ma un po’ annacquata, cosa che fa impazzire i puristi del whisky (infatti hanno inventato una specie di orribili cubetti di plastica con un liquido all'interno).
Oltre allo stato liquido ed aeriforme, l’acqua ha diciassette tipi diversi di ghiaccio: oltre a quello classico, in diverse condizioni di pressione e temperatura le molecole si possono disporre secondo diverse strutture cristalline. Lo stato stabile dell’acqua a temperatura ambiente è quello liquido e sotto 0ºC è quello solido. Si può avere acqua superraffreddata, che congela istantaneamente appena toccata. A questo punto è obbligatorio citare il ghiaccio-9, forma fantascientifica di ghiaccio creata da Kurt Vonnegut in Cat’s cradle (ghiaccio 9 in italiano). Nel romanzo, il geniale autore ipotizzava che potesse esistere una struttura di ghiaccio che a temperatura ambiente fosse più stabile della forma liquida.
Ponendo il ghiaccio-9 a contatto con l’acqua, essa si congelerebbe istantaneamente anche a temperatura ambiente, con devastanti conseguenze per la Terra. Il ghiaccio-9 non esiste, ma la ricerca dello stato fondamentale della materia è ancora aperta. Infatti una delle ipotesi è che lo stato base sia costituto da strangelets, agglomerati di quark la cui energia fosse più bassa di quella della materia ordinaria. Al momento non si ha una verifica sperimentale di questo ipotizzato stato della materia, anche se al momento di attivare LHC, l’acceleratore del Cern di Ginevra, ci furono un po’ di polemiche sulla possibilità che – come il ghiaccio 9 – potessero distruggere il mondo.
In realtà gli urti dei raggi cosmici avvengono ad energie mille volte più alte di quelli di LHC al Cern per cui on corriamo rischi. La materia strana nucleare potrebbe comunque trovarsi in stelle di quark o al centro delle stelle di neutroni.
(reglog da scientificast.it)

Formule pizzose:

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venerdì 28 ottobre 2016

Perché l’universo NON è una simulazione al computer

L’universo può essere una immensa simulazione a stati discreti come un gigantesco  automa cellulare? (no)
In questi giorni i giornali hanno rilanciato la (vecchia) discussione sulla possibilità che l’universo sia una simulazione in qualche tipo di supercomputer. Una citazione di Matrix, un pizzico di cospirazione, qualche numero sparso a caso e il gioco è fatto.
L’ipotesi che l’universo come noi lo percepiamo sia solo un’ombra di quello reale risale ai filosofi greci (e probabilmente anche prima). L’esempio classico è quello della Caverna di Platone. Noi saremmo come i prigionieri della caverna che possono cogliere solo le ombre del mondo reale esterno alla caverna. Di conseguenza la nostra comprensione del mondo risulterebbe incompleta.
Del resto la nostra interazione con il resto dell’universo avviene tramite i cinque sensi, con cervelli evolutisi per fare tutt’altro (cibo, riproduzione, pensare alla riproduzione, discussioni sulla riproduzione…). Sarebbe quindi logico aspettarsi che non siamo in grado di percepire altro che ombre e proiezioni di un mondo ben più complesso. Tuttavia, negli ultimi cinque secoli, grazie a strumenti come il microscopio e il telescopio (e tutte le successive migliorie) abbiamo potuto estendere enormemente le nostre capacità esplorative nel reame macroscopico e microscopico. Questo ci ha permesso di correggere la nostra descrizione dell’universo, passando dalle sfere dei cieli di cristallo al Big Bang e un universo di circa 45.5 miliardi di anni luce di raggio; da concetti come etere, flogisto e quintessenza alla comprensione delle forze fondamentali della natura che si manifestano su dimensioni inferiori del nucleo atomico.
Pertanto, per quanto limitata ed errata possa essere la comprensione attuale del nostro universo, essa è ormai troppo sofisticata perché sia credibile l’ipotesi di una simulazione basata su micro-elementi  come in un automa cellulare (tipo il gioco di life: qui uno splendido simulatore).
Infatti le misure astronomiche mostrano che l’universo ha un diametro di circa 91 miliardi di anni luce e che le interazioni fondamentali hanno luogo su una scale pari a frazioni infinitesime della grandezza del protone. Calcoli teorici mostrano come la grandezza naturale sia pari a 1.6*10-35 m (la scala di Planck). Dal punto di vista sperimentale, l’osservazione di raggi cosmici di ultra-alta energia provano l’esistenza di particelle con energie superiori a 1020eV (almeno 1000 di volte più grandi a quelle ricreate negli acceleratori di particelle). Per riprodurre questi eventi, la simulazione in cui ci troveremmo dovrebbe estendersi in una sfera di 45.5 miliardi di anni luce di raggio con una risoluzione pari ad almeno 10-27 m.
Al momento i computer attuali riescono a simulare lo spazio tempo su un reticolo quadridimensionale delle dimensioni massime di 10-15m e con una risoluzione di qualche percentuale di questo valore. Anche assumendo che il potere computazionale dei computer possa crescere  secondo la legge di Moore, tra più di un secolo dovremmo essere in grado di simulare al massimo un universo di circa un metro di grandezza. Va detto che queste simulazioni consentiranno progressi incommensurabili nella comprensione della fisica fondamentale, ma ancora lontanissimi da quanto ipotizzato dai filosofi di facebook.
Si può sempre argomentare che i 'computer' che simulano il nostro universo siano infinitamente più potenti e funzionino 'chissaccome', ma in questo caso si tratta di una riformulazione della Creazione, senza possibilità di verificare questa ipotesi o interagirci.
Inoltre, nel pot-pourri delle sciocchezze che si leggono in giro si fa una confusione tra vari tipi di ‘universi’.

L’universo alla Matrix.

In questo caso l’universo NON è una simulazione ma una illusione generata in una persona (come in un episodio de Il  Prigioniero,1969) o più individui (Dark City, 1998 e poi Matrix, 1999). È quindi una specie di ‘realtà virtuale’ molto sofisticata che genera nel nostro cervello (indirettamente, tramite stimoli visivi, tattili, olfattivi ecc…)  o direttamente (tramite stimolazione neuronale) le percezioni che noi interpretiamo come realtà.  Creare questo tipo di miraggio sarebbe infinitamente più semplice che una vera simulazione, ma richiederebbe comunque risorse computazionali enormi, dato che comunque dovrebbero simulare l’illusione delle interazioni ad alta energia.

L’universo alla Truman show.

Ispirato al racconto ‘’L’uomo dei giochi a premio” di Philip Dick (1959), il film ci mostra un mondo simulato molto più piccolo di quello reale. In questo caso il volume da simulare si estenderebbe alla sola terra (o al sistema  terra-luna, dato che le missioni Apollo ci hanno fatto raggiungere anche il nostro satellite). Anche se la simulazione del resto del mondo  macroscopico sarebbe idealmente possibile (per quanto,  galassie, redshift, buchi neri, stelle di neutroni ecc, sarebbero estremamente difficili da mettere ‘a mano’); ma resta il problema del mondo microscopico. La sola terra ha circa 6*1050 protoni e noi  – come già accennato – non siamo in grado di neanche immaginare come simularne anche uno solo.

Il macro universo simulato.

Vari articoli scientifici  hanno affrontato questo problema cercando di capire se alcuni attuali problemi aperti della fisica moderna potessero essere interpretati in chiave di evidenza e limiti di una eventuale simulazione. Ad esempio l’attuale devastante incongruenza tra meccanica quantistica e relatività generale  sarebbe risolta naturalmente non con le stringhe o la gravità quantistica, ma semplicemente con una impostazione ad hoc in questa fantomatica messinscena. Se proprio di simulazione si deve trattare, afferma l’articolo, questa potrebbe essere visibile nella distribuzione dei raggi cosmici di ultra-alta energia.  Invece di provenire da tutte le direzioni, infatti, questi dovrebbero mostrare direzioni preferenziali correlate ai vertici e alla struttura del reticolo su cui avviene la simulazione.

(già apparso su scientificast)

mercoledì 12 ottobre 2016

Intervista a un antimatteriano


Gli antimatteriani (Antimatterians in inglese) sono un gruppo di persone che ha scelto di cibarsi esclusivamente di antimateria. Questa nuova dieta è particolarmente diffusa tra le nuove generazioni di fisici e si sta estendendo agli studiosi delle materie scientifiche. Abbiamo voluto intervistare una di queste persone, senza pregiudizi, per capire pro e contro di questa scelta di vita. 
Quando nasce l’antimatterianesimo? In cosa consiste.
È una dieta sviluppatasi nell’università di Berkeley alla fine degli anni ’90 e – come dice il termine – consiste nel nutrirsi solo di antiparticelle e antimateria. È la forma più nobile ed efficiente di cibo perché l’antimateria viene convertita completamente in energia nel nostro stomaco, anzi addirittura nella nostra bocca! In questa maniera non vi sono scorie o scarti e il nostro corpo è quindi naturalmente libero da tossine. Pensate: se una reazione chimica, quelle solite del cibo di ‘materia’, fornisce un’energia pari a 1, quella delle reazioni nucleari fornisce un’energia milioni di volte superiore, ma quella dell’antimateria è miliardi di volte più grande. In sostanza noi diciamo BASTA al cannibalismo in cui materia mangia materia.
 Ma dove trovate l’antimateria e le antiparticelle?
Innanzitutto ci teniamo a dire che la produzione è equa e solidale. Equa perché per ogni grammo di antimateria prodotta produciamo un grammo di materia, quindi noi rifuggiamo tutte le forme di produzione che violano CP, ossia l’inversione di carica e parità che non è rispettata nelle interazioni deboli. Inoltre è solidale perché tutta l’antimateria viene prodotta negli acceleratori locali di particelle e lì distribuita nelle vicinanze. Ci sono ovviamente le grandi distribuzioni come LHC a Ginevra, ma ad esempio in area romana ci riforniamo all’acceleratore Daphne dei laboratori INFN di Frascati, dove peraltro è avvenuta la prima collisione materia – antimateria (positroni e elettroni) al mondo.
 E per chi vive lontano da un acceleratore di particelle?
Ci sono anche le macchine medicali: ad esempio la PET Positron Emission Tomography, utilizzata per la diagnostica di tumori, la notte viene sfruttata per produrre antiparticelle a basso costo. Inoltre ci sono anche gli antimatteriani atmosferici. In quel caso si tratta di una dieta a base di muoni prodotti dall’interazione di particelle nell’atmosfera. Ovviamente i muoni positivi sono separati da quelli negativi con un apposito magnete che permette di selezionarli correttamente.
 E per i neutrini come fate?
Quello è un problema, in realtà le devo confessare che ci si divide in antimatteriani ortodossi, che aspettano di capire se il neutrino è una particella di Majorana, ossia la sua stessa antiparticella (e quindi non andrebbe mangiata) e in quelli non ortodossi che se ne nutrono senza problemi.
 Veniamo ora alle critiche a questa dieta: c’è chi vi accusa anche di cibarvi di cervelli positronici dei robot di Asimov.
Questa è una calunnia. Sono falsità messe in giro da chi non accetta il nostro stile di vita. Per quanto gustosi, succosi e saporiti i cervelli positronici possano risultare, nessuno di noi se ne ciberebbe. Almeno non finché l’automa è attivo.
 E chi vi accusa di aver svuotato la fascia di antiprotoni intorno alla terra?
In quel caso ne rivendichiamo l’atto: gli antiprotoni sono di chi se li prende,  del resto non è che esista ancora l’Enterprise che li potrebbe usare. Anzi, le dirò di più: abbiamo in programma una missione su Giove per prendere gli antiprotoni in quella magnetosfera, sono milioni di volte più abbondanti.
 La ringrazio del suo tempo e della sua collaborazione.
Sono io a doverla ringraziare. Mi scusi se non le dò la mano, ma l’esplosione spazzerebbe via mezzo continente.
(originariamente pubblicato su scientificast)

lunedì 12 settembre 2016

Costruzioni ed Esercitazioni antisismiche in Giappone

Oggi (12/9/2016, ore 1130)  ho avuto il piacere di contribuire alla prima di due puntate di Radio3Scienza dedicata alla prevenzione dai terremoti e alle esercitazioni nelle scuole e nei luoghi pubblici. Qui il podcast della prima puntata, Domani, 13/9 la seconda legata -  cui mi hanno cortesemente invitato - sulle strutture  antisismiche.
In questo breve post riporto alcune immagini sulla prevenzione in Giappone.

Esercitazione di terremoto al RIKEN. Il responsabile di ciascun gruppo deve
assicurarsi che tutti siano in salvo e comunicarlo al responsabile generale.
Personale di gruppi ed edifici differenti deve raccogliersi sotto la corrispondente bandiera. 

Le esercitazioni sono periodiche e volte a stimare tempi di evacuazione dagli edifici e di controllo della agibilità degli stessi. Nel caso delle scuole, inoltre, i genitori vengono avvertiti in anticipo e lo scenario prevede che vadano a prendere i figli senza l'uso dei mezzi pubblici, appunto per stimare tempi sino alla scuola piedi. Purtroppo non sempre questi piani si sono rivelati efficaci: nello tsunami del 2011 più di 70 bambini della Okawa Elementary school, Ishinomaki,  perirono  con i loro insegnanti per la mancanza di un piano di evacuazione e l'incertezza sul da farsi.

La facciata di una scuola a Wako, regione di Saitama.
Notate le strutture di rinforzo diagonali in legno al centro dell'immagine
(primo piano). Di solito questi interventi vengono effettuati su strutture preesistenti
per migliorare la resistenza strutturale degli edifici.


Strutture trasversali di rinforzo ad un parcheggio...
...e sotto un ponte















Le costruzioni in Giappone sono tutte antisismiche (qualche scandalo c'è stato) e si assume che non vi siano crolli  durante la scossa e che l'edificio vada evacuato dopo la scossa, per evitare di essere colpiti da vetri, insegne e oggetti fragili.

La maggior parte delle strutture dalle case, ai ponti ai grattacieli sono poi rinforzate con fondamentali rinforzi trasversali che consentono di sostenere le sollecitazioni trasversali del terremoto.


Posa delle fondamenta di una casa. La struttura (in legno)
sarà poi flottante rispetto alle fondamenta. Si noti la quantità di
tondini nel cemento armato
Particolare della struttura in cemento armato

Catene di supporto sotto il metropolitan office di Tokyo
Nel caso che le travi in cemento armato escano
dalla loro sede, le catene (usate anche nelle autostrade)
assicurano che la struttura non crolli completamente.


lunedì 29 agosto 2016

Cos'è il Quantum Entanglement

Cos’è il Quantum Entanglement
“Sta mano può esse’ fero e può esse piuma”
oggi è stata ‘na piuma”
Nel linguaggio della meccanica quantistica il sistema ‘mano’ del grandissimo attore Mario Brega in ‘Bianco, Rosso e Verdone”, è descritto da una coesistenza di due stati, ‘ferro’ e ‘piuma’. Con l’iniezione, la Sora Lella ha misurato lo stato della mano e la funzione d’onda è decaduta nello stato ‘piuma’. Quando Gordon Scott fece la misura lo trovò nello stato ‘ferro’ (anche i ‘due di passaggio’ a Via Veneto ottennero lo stesso risultato).

In realtà l’analogia con la meccanica quantistica vale solo perché il grande Mario Brega trascendeva le leggi della fisica e non era vincolato a esse. Perciò, a parte questa eccezione, equazioni come quella di Dirac e concetti come la  funzione d’onda e il quantum entanglement (o entanglement quantistico) non si applicano ai sistemi macroscopici. Vi è infatti una profonda differenza filosofica prima ancora che fisica: nel mondo microscopico, un dato stato è “tutti e due e nessuno” fino a che non lo si misura interagendo con esso. In quello macroscopico il sistema è a priori in uno stato già definito, siamo noi che ne ignoriamo la condizione per una nostra incompleta conoscenza, ad esempio quando non sappiamo se fuori piove o no.
Infatti, nonostante noi siamo costituiti da un’accozzaglia più o meno coerente di elementi chimici, il mondo degli atomi e delle particelle elementari obbedisce a regole molto diverse dal nostro. Le leggi della meccanica quantistica, che ne formalizzano il comportamento, trattano matematicamente di incertezza, ignoranza e nuvole di probabilità e apparirono strane e sorprendenti alle stesse menti geniali che pur costruirono questo magnifico edificio concettuale nei primi decenni del XX  secolo.
Come già discusso nel post sull’equazione di Dirac, alle particelle elementari non è possibile associare una posizione e una traiettoria precise, ma piuttosto una probabilità di trovarle in uno dato punto o con una certa velocità. L’equazione di Dirac è l’espressione quantistica dell’energia di elettroni e positroni liberi di muoversi: risolvendola otteniamo la funzione d’onda. Facendo il quadrato di questa funzione otteniamo una o più caratteristiche (numeri quantici) della particella, per esempio energia, carica, posizione nello spazio e spin.
L’equazione di Dirac è in realtà un sistema di quattro equazioni, necessarie per descrivere un elettrone o un positrone ciascuno con spin di +½  o -½ . Lo spin può essere pensato come l’analogo quantistico del verso di rotazione di una trottola, per convenzione positivo se ruota in senso antiorario e negativo se ruota in senso orario. Fino a che non interagiamo con l’elettrone, non sappiamo (e non ha neanche senso chiedersi) in che verso è orientato il suo spin.
Per conoscere le caratteristiche di una particella dobbiamo quindi effettuare una misura, facendola interagire con un altro tipo di particelle (non esistono infatti i sensori alla Star Trek).
Per cui, fino a che non misuriamo lo spin di un elettrone, la sua funzione d’onda è una somma equiprobabile di spin +½ e spin -½ (prima e seconda equazione; la terza e la quarta servono se abbiamo a che fare con positroni, come nei cervelli robotici di Asimov o nelle macchine mediche della PET – Positron Emission Tomography).
Per conoscere lo spin dell’elettrone possiamo metterlo in un campo magnetico e vedere dove viene deflesso. Facciamo pertanto il quadrato della funzione d’onda e troviamo che la probabilità è 50%   orario (ossia +½, anche detto ‘su’) e 50% antiorario (ossia -½ o ‘giù’).
Una volta fatta la misura, la funzione d’onda ‘decade’, ossia muta da una somma equiprobabile di due termini a quella a spin definito. Il decadimento della funzione d’onda è istantaneo nel momento in cui vi è l’interazione dell’elettrone con il campo magnetico.
Un esperimento simile può essere effettuato con un elettrone in un orbitale di un atomo di idrogeno (a essere pignoli l’equazione da risolvere è diversa ma la sostanza non cambia).
Prendiamo ora un atomo di elio, con due protoni e due neutroni (nel nucleo) e due elettroni. I due elettroni riempiono completamente l’orbitale più interno che può ospitarne solo uno a spin su e uno a spin giù. Lo spin semi-intero degli elettroni implica infatti che essi obbediscono alle leggi statistiche di Fermi-Dirac che non ammettono che due elettroni abbiano lo stesso numero quantico, in questo caso lo stesso spin nello stesso orbitale.
Ma quale è a spin su e quale a spin giù?
I due elettroni sono in uno stato di quantum entanglement ossia di aggrovigliamento quantistico, che è un modo più fico che rispondere:
“Ehm… non lo so”
In realtà il quantum entanglement ha un significato più profondo. Ci dice che non non ha senso chiedersi quale sia lo spin assegnato a ciascun elettrone fino a che non facciamo la misura. La funzione d’onda di un elettrone è somma di entrambi i termini su e giù così come quella dell’altro elettrone. Nell’istante in cui misuro lo spin di uno dei due, sono sicuro che l’altro avrà spin opposto. In altre parole il decadimento della funzione d’onda del primo nello stato a spin -½ implica anche il decadimento istantaneo del secondo sia a spin +½ . Una volta fatta la misura il legame quantistico delle due particelle è sciolto e le particelle non sono più correlate tra loro.
Se prendiamo i due elettroni dall’atomo e li allontaniamo in direzioni opposte, il sistema sarà comunque composto dalla funzione d’onda somma dei due termini di spin. Anche in questo caso, quando misuro lo spin di uno dei due elettroni l’altro decadrà istantaneamente nello stato a spin opposto. Istantaneamente, vuol dire più veloce della luce e indipendentemente dalla distanza, sia essa qualche metro o qualche chilometro (come è stata misurata in laboratorio) o ai capi della galassia.
Einstein e gli altri studiosi dell’epoca (anche contemporanei) rimasero in principio molto perplessi dalla non località della meccanica quantistica, anche se essa è in perfetto accordo con la relatività speciale, poiché non si può comunque trasmettere informazione più velocemente della luce, dato che il risultato della misura è casuale e quindi produrrebbe una serie di numeri completamente scorrelati tra loro.  
Il QE si applica a tutti i sistemi di particelle elementari, non solo quelle descritte dall’equazione di Dirac, ma anche dall’equazione di Schroedinger, Klein Gordon., Weyl ecc.
Invece l’interazione di due sistemi macroscopici avviene secondo le leggi della fisica classica, e quando l’interazione (urto, scambio di informazioni) è avvenuta questi possono continuare a influenzarsi a vicenda tramite  ricordi o comunicazioni-interazioni ulteriori senza dover invocare fantomatiche interazioni quantistiche e superluminari. Anche si trattasse un qualche mistico meccanismo di telepatia per avremmo trasmissione di informazione e quindi comunque un fenomeno profondamente diverso dalla meccanica quantistica.

Questo post è (indegnamente) dedicato a Roberto Petronzio.


Formule pizzzose

Esistono varie notazioni per descrivere la funzione d’onda e risparmiare spazio:
y(x,y,z)
è quella   riportata sulla placca commemorativa di Dirac.
La probabilità di trovare la particella in un dato punto è data dal modulo quadro della funzione
y(x,y,z)*y(x,y,z)
La probabilità complessiva di trovarlo in un punto qualunque dello spazio è 1 ossia il 100% (da qualche parte deve pur stare)
La notazione di bra < y| e  ket |y> fu introdotta da dirac.
Il modulo quadro si scrive  <y|y> ed è un bra-ket, dall’inglese bracket ossia cosa tra parentesi (che  rappresenta uno dei vertici dell’umorismo del campo).
Un sistema equiprobabile a due stati come Ferro/Piuma o Spin-su/giù può essere scritto come
braket1
per cui il suo modulo quadro è:
braket4
braket3
ossia al 50% (0.5) spin su o +½ e al  50% (0.5) spin giù o -½