Nishina (a destra) implora inutilmente i militari americani di non gettare i ciclotroni nella baia di Tokyo |
Parleremo di questo argomento con gli amici di Radio3Scienza alle 11:30 italiane del 6 Agosto: http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-1314fddc-9281-42dc-9229-297d4febf5c8.html?refresh_ce
Il 6 Agosto 1945 la
città di Hiroshima fu rasa al suolo dal primo ordigno nucleare della storia:
circa 140.000 giapponesi furono uccisi istantaneamente dall’esplosione o
morirono successivamente a causa delle ustioni e delle radiazioni.
La bomba, denominata Little boy, era di concezione semplice
quanto efficace: un esplosivo convenzionale lanciava un cilindro cavo di uranio
verso una serie di dischi dello stesso materiale. Il materiale fissile raggiungeva
un peso complessivo di 64 chili, superiore alla massa critica necessaria per
innescare una reazione nucleare a catena dal potere distruttivo di 11
chilotoni, equivalente cioè a 11.000 tonnellate di esplosivo convenzionale.
Solo grazie agli
enormi mezzi ed investimenti degli Usa – più di due miliardi di dollari
dell’epoca, convogliati nel segretissimo progetto Manhattan – fu possibile impiegare
a fini bellici le ultime scoperte della fisica nucleare. Liberando le energie
che tengono insieme i nuclei atomici, si sviluppava una forza distruttiva
milioni di volte più potente di quella degli esplosivi chimici basati sui meri legami
molecolari.
A posteriori, la
corsa agli armamenti nucleari del Secondo conflitto mondiale, non ebbe
contendenti: nonostante i molti tentativi, i tedeschi non si avvicinarono mai
all’arma finale sognata da Hitler. Nel marzo 1945, quando la disfatta era ormai
vicina, i nazisti imbarcarono le loro ultime scorte di ossido di uranio, poco
più di mezza tonnellata, sull’U-Boot 234 e lo spedirono verso il Giappone. Il
sottomarino non giunse però mai a destinazione: nel maggio 1945, mentre era in
viaggio, la Germania capitolò ed il sottomarino si arrese alla marina
statunitense. Due ufficiali giapponesi presenti a bordo del vascello, Hideo Tomonaga e
Shoji Genzo si suicidarono
piuttosto che cadere in mano al nemico.
Anche il Giappone
aveva ben due programmi di sviluppo di armi nucleari, il Ni-go, progetto numero 2, gestito dal fisico teorico Yoshio
Nishina, presso il Riken, istituto di ricerca di Tokyo, ed il progetto 'F' presso
l'università di Kyoto, sotto la guida di Bunsaku Arakatsu, già allievo di
Einstein e costruttore di uno dei primi acceleratori di particelle giapponesi. Nishina – considerato il padre della fisica
moderna in Giappone – disponeva al Riken di un laboratorio con circa cento
persone e due ciclotroni ma la maggior parte delle sue attività rimase a
livello di ricerca pura, senza applicazioni belliche.
Il problema
principale della costruzione di ordigni nucleari è infatti quello di separare gli
isotopi di uranio e plutonio utilizzabili per scopi bellici. La carenza di
fondi e di materie prime non consentirono ai progetti
giapponesi di fare molti passi avanti. I pochi progressi fatti si interruppero
poi nell'aprile 1945, quando la maggior parte degli edifici del Riken fu
distrutta a seguito dei continui bombardamenti su Tokyo. La maggior parte delle
città giapponesi, infatti, erano già state rase al suolo da bombardamenti
convenzionali: il solo raid del 9 marzo sulla capitale causò più di 125.000
morti, soprattutto a causa degli incendi innescati dall’enorme quantità di
bombe incendiarie costitute di semplici ma speciali tondini imbevuti di
sostanze incendiarie.
Hiroshima, invece, fino
a quel momento era stata risparmiata dalle distruzioni della guerra perché i
militari statunitensi volevano conoscere con precisione i danni causati dal
nuovo tipo di bomba. Dopo l’esplosione, Nishina riuscì a raggiungere quello che
restava di Hiroshima solo il 7 agosto. Già altri suoi colleghi avevanoconfermato,
in una serie di rapporti, che l'ordigno utilizzato era – come peraltro
dichiarato dal presidente Usa Truman – di tipo nucleare. Le evidenze, incontrovertibili,
furono indicate in una dettagliata lista
redatta dal fisico giapponese: tegole fuse(che implicavano temperature
superiori a 2000 gradi), l’elevata radiazione residua nell'area colpita(talmente
intensa da riuscire ad impressionare le lastre a raggi X negli ospedali) e l’impressionante
onda d’urto, in grado di spazzare via tutti gli edifici nel raggio di 1,6
chilometri, risparmiando solo alcune costruzioni in cemento armato.
Tuttavia i rapporti
che raggiungevano Tokyo erano contrastanti e
i militari giapponesi, che speravano di poter continuare la guerra ad
ogni costo, preferirono ipotizzare su bombe
al fosforo o al magnesio piuttosto che ammettere l’esistenza di una bomba
atomica. Il resoconto di Nishina, che implorava la resa, arrivò solo il 9
agosto, troppo tardi per prevenire il bombardamento di Nagasaki, avvenuto in
quello stesso giorno. In questo caso l’ordigno, Fat Man, era basato sul plutonio, con un innesco ad esplosivo
convenzionale per comprimere la sfera di 6 kg di materiale fissile oltre il
raggio critico. La complessità della bomba era tale che un prototipo era stato
fatto esplodere poco meno di un mese prima nel Nuovo Messico. L'esplosione di
Nagasaki fu pari a 21 chilotoni con più di 65.000 morti; fu solo la
conformazione del terreno ad evitare danni maggiori e molte più vittime.
Il ciclotrone (a sinistra) viene gettato nella baia di Tokyo (destra) |
A 50 km dal luogo
dell'esplosione fu rinvenuta una capsula – lanciata da un aereo di scorta del
bombardiere – contenente una lettera indirizzata a Ryokichi Sagane, fisico del
Riken che prima della guerra aveva lavorato in California. Si trattava di un
messaggio personale di tre ricercatori statunitensi che chiedevano a Sagane di
convincere lo Stato maggiore giapponese alla cessazione delle ostilità. Sagane
ricevette la lettera solo un mese dopo, e nel 1949 uno degli autori, Luis
Alvarez – premio Nobel per la fisica nel 1968 – appose la sua firma autogafa su
quella commovente quanto inutile missiva.
È ancora storicamente
dibattuto se la resa immediata del Giappone dopo Hiroshima avrebbe potuto
evitare il bombardamento di Nagasaki e soprattutto se la cessazione delle
ostilità sia avvenuta per 'merito' delle armi nucleari o piuttosto sia stata causata
dall'entrata in guerra della Russia sul fronte della Manciuria, sempre in quel
fatidico 9 agosto 1945.
Con la cessazione
delle ostilità, gli americani confiscarono i ciclotroni del Riken in quanto
formalmente coinvolti nel programma bellico giapponese. Nonostante la strenua
opposizione di Nishina i ciclotroni furono gettati nella baia di Tokyo. A
distanza di anni questo gesto fu di aiuto agli scienziati giapponesi: sull'onda
dell'indignazione di tutto il mondo per il sopruso dei militari, infatti,
riuscirono ad ottenere finanziamenti per costruire nuovi e più potenti
acceleratori. Negli anni successivi il Riken divenne uno degli istituti di
frontiera in questo campo dando poi vita al KEK, Istituto degli acceleratori di
alte energie, e realizzando enormi e modernissime strutture come la sorgente di
luce di sincrotrone Spring-8, un impianto che viene utilizzato in tutti i campi
scientifici, tecnici ed ingegneristici, spaziando dalla fisica applicata alla
biologia, dalla geologia all’ingegneria.