Versione estesa e con i link di un mio articolo apparso sabato primo marzo nell'edizione cartacea di pagina99
Il METI, Ministero
dell'economia, commercio ed industria giapponese ha recentemente presentato un piano
energetico nazionale in cui l'energia nucleare tornerà ad avere un ruolo di
rilievo, seppur affiancata da fonti di energia rinnovabile. E’ un cambio di
rotta rispetto alla politica energetica degli ultimi tre anni, che a seguito
dell'incidente alla centrale nucleare di Fukushima del marzo 2011, ha posto tutti
i 48 reattori commerciali in stato di spegnimento a freddo. Il fabbisogno di
energia elettrica giapponese era coperto per circa un terzo dalle centrali
nucleari. Di conseguenza, le importazioni di gas naturale sono cresciute nel
2013 sino a incidere per 10% degli acquisti dall'estero, facendo toccare -
complice uno yen indebolito dalla scommessa dell'abenomics – alla bilancia dei pagamenti giapponese un passivo pari
a 112 miliardi di dollari (*)
Nel
frattempo, il 27 febbraio scorso è stata confermata la decisione di non incriminare
la dirigenza della Tepco (*) e l'allora premier Naoto Kan per negligenze nella gestione dell'emergenza. Va però ricordato che fu l'allora direttore
della centrale, Masao Yoshida, a salvare Fukushima da un incidente ancora più devastante,
contravvenendo agli ordini dei suoi superiori della Tepco e continuando a raffreddare
i nuclei dei reattori con acqua di mare. (*)
L'indulgente
normativa, frutto dell'insana intesa tra pubblico e privato giapponese, ha
dunque permesso che non fossero riscontrate violazioni alla legge vigente.
Tuttavia il governo non ha mostrato di aver imparato alcunché dall'incidente di
tre anni fa: la normativa è rimasta essenzialmente immutata e la neonata NRA,
Nuclear regulation authority non ha ancora mostrato di essere in grado di far
valere la sua opinione nei confronti della potentissima lobby energetica
giapponese.
La Tepco - che
già aveva sommerso gli sfollati con questionari di centinaia di pagine per
ottenere i rimborsi- ha inoltre deciso di sospendere da marzo- e in contrasto
con le direttive del governo - i sussidi a coloro che hanno perso il lavoro a
causa dell'incidente. (*)
A causa del
rilascio di materiale radioattivo, circa 100,000 persone sono state costrette
ad abbandonare le proprie abitazioni nel 2011. Alcune cittadine meno colpite
sono tornate ad essere nuovamente abitabili, grazie agli sforzi di
decontaminazione ma soprattutto al decadimento naturale dell'isotopo 134 del
Cesio, che costituisce il 50% della radiazione ambientale e si dimezza ogni 2
anni. Il più persistente Cesio137 - il
cui periodo di dimezzamento è 30 anni - non consentirà comunque al 60% dei
rifugiati (*) soprattutto delle città più vicine alla
martoriata centrale di non far ritorno nelle proprie case prima del 2017.
Al di fuori
della zona di esclusione la radiazione non presenta rischi apprezzabili: uno
studio dell'università di Kyoto sull'esposizione alle radiazioni degli abitanti
nei distretti di Tamano e Haramachi, esterni ma in prossimità della zona di
esclusione di Fukushima, hanno mostrato come la dose aggiuntiva ammonti a circa
1 mSv/anno ossia a circa il doppio di quella presente nella zona prima del
2011. Si tratta di valori inferiori di quelli di molte città italiane: a Roma
si è soggetti a circa 2.6mSv/anno per via del suolo tufaceo di origine
vulcanica ricco di torio e radon. (*)
Il problema
non è però costituito dal semplice valore del contatore Geiger, ma dal danno
irreparabile al tessuto economico e sociale: anche dove l'ordine di evacuazione
è stato rimosso pochi mesi dopo l'incidente, solo la metà degli abitanti ha
deciso di fare ritorno. In cittadine come
Hirono, a 30 km a sud di Fukushima, la metà della popolazione è
costituita dai lavoratori che cercano di porre in sicurezza la centrale.
Alla centrale
di Fukushima-1, anche se le perdite di acqua radioattiva dai serbatoi in cui è stoccata sono quasi
all'ordine del giorno, queste non
costituiscono un ulteriore pericolo per
l'ormai contaminata costa antistante alla centrale o per il resto del Pacifico;
uno studio statunitense ha concluso che il contributo della centrale di
Fukushima è inferiore all'1% rispetto a quello della radioattività naturalmente o artificialmente presente in mare. (*)
Alla centrale
la reale sfida è posta dalla messa in sicurezza dei reattori nucleari e dalle
barre immagazzinate nella piscina del reattore quattro. In questo caso le opere
di consolidamento e costruzione di strutture di protezione proseguono
speditamente, anche se al momento è impossibile avvicinarsi all’interno degli
edifici. Nonostante il guscio di cemento che contiene i nuclei sia rimasto
intatto (a differenza di quanto avvenuto a Chernobyl), la quantità di
radiazione è infatti troppo elevata per permettere qualunque intervento umano o
robotico.
La messa in
sicurezza della martoriata centrale di Fukushima richiederà quindi almeno altri
trent'anni. Nel frattempo sono già più
di una dozzina le centrali che hanno fatto richiesta di riattivazione, sia in
virtù del loro perfetto stato di salute - risultato di una costruzione con
criteri ben più severi di quanto richiesto dalla legge - come quella di
Onagawa- o a seguito di lavori di ammodernamento come quella di Hamaoka.
Il governo
Abe prosegue quindi la sua marcia verso un ritorno al nucleare in Giappone, con
la ripresa della criticalità nei primi reattori già dai prossimi mesi.
Infatti, nonostante
l'incidente di Fukushima abbia rappresentato un punto di rottura nella fiducia tra cittadini e governo
giapponese, il crescente sentimento antinucleare non è decisivo: come le
recenti elezioni hanno mostrato, la politica nazionalista ed la visione revisionista dei misfatti del
Giappone nella Seconda guerra mondiale attuata dal partito del Primo ministro
Abe, pagano più – in termini di voti - di
una discussione seria sulla politica energetica e soprattutto sull'adeguato
controllo del settore privato che una delle maggiori potenze industrializzate
del mondo dovrebbe attuare.
Nessun commento:
Posta un commento