giovedì 6 marzo 2014

Aggiornamenti su Fukushima: Ritorno al nucleare in Giappone?

Versione estesa e con i link di un mio articolo apparso sabato primo marzo nell'edizione cartacea di pagina99




Il METI, Ministero dell'economia, commercio ed industria giapponese ha recentemente presentato un piano energetico nazionale in cui l'energia nucleare tornerà ad avere un ruolo di rilievo, seppur affiancata da fonti di energia rinnovabile. E’ un cambio di rotta rispetto alla politica energetica degli ultimi tre anni, che a seguito dell'incidente alla centrale nucleare di Fukushima del marzo 2011, ha posto tutti i 48 reattori commerciali in stato di spegnimento a freddo. Il fabbisogno di energia elettrica giapponese era coperto per circa un terzo dalle centrali nucleari. Di conseguenza, le importazioni di gas naturale sono cresciute nel 2013 sino a incidere per 10% degli acquisti dall'estero, facendo toccare - complice uno yen indebolito dalla scommessa dell'abenomics – alla bilancia dei pagamenti giapponese un passivo pari a 112 miliardi di dollari (*)

Nel frattempo, il 27 febbraio scorso è stata confermata la decisione di non incriminare la dirigenza della Tepco (*) e l'allora premier Naoto Kan per negligenze nella gestione dell'emergenza. Va però ricordato che fu l'allora direttore della centrale, Masao Yoshida, a salvare Fukushima da un incidente ancora più devastante, contravvenendo agli ordini dei suoi superiori della Tepco e continuando a raffreddare i nuclei dei reattori con acqua di mare. (*)
L'indulgente normativa, frutto dell'insana intesa tra pubblico e privato giapponese, ha dunque permesso che non fossero riscontrate violazioni alla legge vigente. Tuttavia il governo non ha mostrato di aver imparato alcunché dall'incidente di tre anni fa: la normativa è rimasta essenzialmente immutata e la neonata NRA, Nuclear regulation authority non ha ancora mostrato di essere in grado di far valere la sua opinione nei confronti della potentissima lobby energetica giapponese.
La Tepco - che già aveva sommerso gli sfollati con questionari di centinaia di pagine per ottenere i rimborsi- ha inoltre deciso di sospendere da marzo- e in contrasto con le direttive del governo - i sussidi a coloro che hanno perso il lavoro a causa dell'incidente. (*)
A causa del rilascio di materiale radioattivo, circa 100,000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni nel 2011. Alcune cittadine meno colpite sono tornate ad essere nuovamente abitabili, grazie agli sforzi di decontaminazione ma soprattutto al decadimento naturale dell'isotopo 134 del Cesio, che costituisce il 50% della radiazione ambientale e si dimezza ogni 2 anni. Il più persistente Cesio137 -  il cui periodo di dimezzamento è 30 anni - non consentirà comunque al 60% dei rifugiati (*) soprattutto delle città più vicine alla martoriata centrale di non far ritorno nelle proprie case prima del 2017.
Al di fuori della zona di esclusione la radiazione non presenta rischi apprezzabili: uno studio dell'università di Kyoto sull'esposizione alle radiazioni degli abitanti nei distretti di Tamano e Haramachi, esterni ma in prossimità della zona di esclusione di Fukushima, hanno mostrato come la dose aggiuntiva ammonti a circa 1 mSv/anno ossia a circa il doppio di quella presente nella zona prima del 2011. Si tratta di valori inferiori di quelli di molte città italiane: a Roma si è soggetti a circa 2.6mSv/anno per via del suolo tufaceo di origine vulcanica ricco di torio e radon. (*)
Il problema non è però costituito dal semplice valore del contatore Geiger, ma dal danno irreparabile al tessuto economico e sociale: anche dove l'ordine di evacuazione è stato rimosso pochi mesi dopo l'incidente, solo la metà degli abitanti ha deciso di fare ritorno. In cittadine come  Hirono, a 30 km a sud di Fukushima, la metà della popolazione è costituita dai lavoratori che cercano di porre in sicurezza la centrale.
Alla centrale di Fukushima-1, anche se le perdite di acqua radioattiva dai   serbatoi in cui è stoccata sono quasi all'ordine del giorno,  queste non costituiscono un ulteriore  pericolo per l'ormai contaminata costa antistante alla centrale o per il resto del Pacifico; uno studio statunitense ha concluso che il contributo della centrale di Fukushima è inferiore all'1% rispetto a quello della radioattività naturalmente o artificialmente presente in mare. (*)
Alla centrale la reale sfida è posta dalla messa in sicurezza dei reattori nucleari e dalle barre immagazzinate nella piscina del reattore quattro. In questo caso le opere di consolidamento e costruzione di strutture di protezione proseguono speditamente, anche se al momento è impossibile avvicinarsi all’interno degli edifici. Nonostante il guscio di cemento che contiene i nuclei sia rimasto intatto (a differenza di quanto avvenuto a Chernobyl), la quantità di radiazione è infatti troppo elevata per permettere qualunque intervento umano o robotico.
La messa in sicurezza della martoriata centrale di Fukushima richiederà quindi almeno altri trent'anni. Nel frattempo sono già  più di una dozzina le centrali che hanno fatto richiesta di riattivazione, sia in virtù del loro perfetto stato di salute - risultato di una costruzione con criteri ben più severi di quanto richiesto dalla legge - come quella di Onagawa- o a seguito di lavori di ammodernamento  come quella di Hamaoka.
Il governo Abe prosegue quindi la sua marcia verso un ritorno al nucleare in Giappone, con la ripresa della criticalità nei primi reattori già dai prossimi mesi.
Infatti, nonostante l'incidente di Fukushima abbia rappresentato un punto di rottura  nella fiducia tra cittadini e governo giapponese, il crescente sentimento antinucleare non è decisivo: come le recenti elezioni hanno mostrato, la politica nazionalista ed la  visione revisionista dei misfatti del Giappone nella Seconda guerra mondiale attuata dal partito del Primo ministro Abe, pagano più  – in termini di voti - di una discussione seria sulla politica energetica e soprattutto sull'adeguato controllo del settore privato che una delle maggiori potenze industrializzate del mondo dovrebbe attuare.


  

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