Immensa metropoli dalle infinite sfaccettature, Tokyo è un monumento vivente che nella sua unicità incarna aspetti e apparenti contraddizioni della società giapponese. Originariamente chiamata Edo (baia, estuario), la città crebbe e prosperò a partire dal XVII secolo, dopo l’unificazione del paese dello Shogun Tokugawa. Nel 1868, dopo che l’incontro con l’occidente catalizzò la guerra civile che portò al crollo dello shogunato, Edo fu ribattezzata Tokyo, la Capitale dell’Est. L’imperatore Meiji trasferì quindi la sua residenza dalla storica Kyoto al palazzo imperiale che è il fulcro geografico, spirituale ed amministrativo di questa immensa metropoli, in cui dimorano 13 milioni di persone, più di un giapponese su dieci.
Distrutta nel terremoto del Kanto del 1923 e rasa al suolo dai bombardamenti americani del 1945 che – seppur convenzionali – causarono più di 100,000 morti, la città è sempre risorta mutando solo apparentemente aspetto ma mantenendo la topologia originale. Come un immenso giardino roccioso, Tokyo si sviluppa per cerchi concentrici che si emanano a partire dal fossato del castello imperiale. Si articola quindi lungo la linea ferroviaria Yamanote che nel suo perenne moto circolare collega tutte le stazioni principali, sino alle innumerevoli autostrade, perennemente affollate nonostante la moltitudine di treni e linee di metropolitana. La simmetria circolare è rotta verso ovest dalla valle del fiume Tama, lunga dorsale in cui dimora una buona parte dei pendolari che affollano i treni verso il centro nella micidiale rush hour mattutina. Verso est, invece, la baia di Tokyo ha fermato per secoli l’avanzata dell’uomo, ma ha dovuto cedere terreno alle vaste isole artificiali realizzate nella inestinguibile sete di spazi e volumi.
Odaiba è la più grande e sviluppata di queste isole artificiali ed è un interessante esperimento architettonico che ambisce a realizzare la città ideale di rinascimentale memoria. Se Odaiba ospita oggi una serie di parchi di divertimenti, sale concerti, musei e sedi di multinazionali, la sua concezione originale fu di natura militare. Hidetatsu Egawa progettò Odaiba come una serie di forti insulari, linea avanzata di difesa per proteggere Edo dalle cannoniere statunitensi del colonnello Perry. Delle undici isole originariamente previste ne furono realizzate solo cinque: le istallazioni di cannoni furono sufficienti a fermare l’avanzata delle navi straniere, ma non riuscirono però ad impedire il già citato crollo del governo degli shogun e la modernizzazione del Giappone.
Dagli inizi del XX secolo, le isolette furono smantellate per facilitare il passaggio delle navi o inglobate in più vaste strutture portuali. Ne restano solo due a ricordarci la struttura delle fortezze originali: la numero 6, riserva naturale su cui è proibito lo sbarco e la numero 3, ribattezzata parco di Odaiba, collegata alla più ampia isola artificiale che ne ha ereditato il nome. La moderna Odaiba, grande quanto metà del centro di Roma, fu realizzata sul finire degli anni ’70 ma sviluppata solo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 sulla spinta della bolla economica e relativa speculazione edilizia. L’allora governatore di Tokyo, Shunichi Suzuki iniziò un mastodontico progetto di sviluppo dell’area. Con lo scoppio della bolla finanziaria molti monumentali progetti rimasero incompiuti e una buona parte dell’area restò abbandonata. Solo sul finire degli anni ’90, grazie a migliori collegamenti con la terraferma la ripresa proseguì gradualmente, dando anche alloggio a più di 100mila persone.
È preferibile raggiungere Odaiba con la linea Yurikamome e godere così della splendida vista sulla baia, mentre i vagoni automatici raggiungono il Rainbow Bridge e ne scavalcano le acque. Le forme geometriche che si profilano all’orizzonte introducono la città del futuro sognata da Suzuki: la sfera-osservatorio incastonata nell’edificio della Fuji Tv, l’enorme arco del Telecom Center, i tronchi di piramide rovesciata del centro congressi Tokyo Big Sight, Odaiba dimostrano che l’audacia delle strutture architettoniche non viene limitata dalle severe norme antisismiche.
Spazi e distanze sono dilatati, con ciascuna costruzione padrone della sua area e competenza di natura culturale, ludica o residenziale. I musei coprono un ampio spettro di discipline: da quello delle Scienze marine, vasto edificio costruito in foggia di nave, al Miraikan, museo del futuro, voluto e diretto dall’astronauta Mamoru Mori, a quelli non meno interessanti gestiti dalle grandi ditte. Se Panasonic e Sony sfoggiano tecnologie futuribili e future, che però arrancano nella recente competizione con altri giganti asiatici, quello della Toyota ha spazi dedicati sia a prototipi di automobili che a veicoli storici, dalla Fiat 500 alla DeLorean resa famosa dalla saga di Ritorno al Futuro. Come in tutti i musei giapponesi, anche qui l’enfasi è sulla interattività con il pubblico con particolare attenzione a quello più giovane.
Non mancano anche i parchi a tema: quello della vecchia Edo – con acque termali captate a più di un chilometro di profondità – risulta maggiormente interessante al turista occidentale rispetto alla Palette Town, che vorrebbe riprodurre una cittadina europea stile ‘800. Vi è poi il Gundam front, con la statua a grandezza naturale di uno dei più famosi robot animati del Giappone. Per quanto meta di fan da tutto il mondo, la maestosità e possenza del robot risulta sminuita in questa collocazione decontestualizzata davanti all’edificio che ospita il museo dedicato ad una delle più celebri saghe animate giapponesi.
Innumerevoli i parchi di divertimenti, shopping center e ristoranti che fanno di Odaiba uno dei principali luoghi di ritrovo per famiglie e coppiette. La skyline di Tokyo risulta particolarmente affascinante la sera, quando il sole tramonta dietro i grattacieli e la torre di Tokyo, simbolo della ricostruzione della città dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale.
A Odaiba è quindi il nuovo a dominare incontrastato, a scapito però del dualismo antico – moderno che caratterizza il resto di Tokyo ove, accanto ad un grattacielo di centinaia di piani, si può trovare un tempio secolare, lasciato in loco per non far adirare i kami o divinità della zona. Il risultato è quindi interessante ma in parte asettico, come se la città del futuro avesse perso una parte essenziale dello spirito del Giappone.
(apparso originariamente su Pagina99)
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